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ATTIVITA’A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE: ITER LEGISLATIVO 1.1 Introduzione: cos’è il rischio 1.2 Il rischio di incidente rilevante 1.4 Dal D.Lgs. 175/88 al D.Lgs. 334/99 (la Direttiva Seveso Bis) 1.5 Sintesi delle principali novità rispetto al D.Lgs n. 175/88 1.6 Gli adempimenti previsti dal D.Lgs.334/99 a carico del gestore
PARTE SECONDA MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DI ANALISI DEI RISCHI PREVISTA PER LE INSTALLAZIONI SOGGETTE ALL’OBBLIGO DI DICHIARAZIONE O DI NOTIFICA 2.1 Premessa 2.2 Contenuti dello studio di sicurezza 2.2.1 Dati identificativi dell’installazione 2.2.2 Descrizione dell’installazione 2.2.3 Dati relativi alle sostanze pericolose presenti nell’installazione 2.2.4 Identificazione e analisi preliminare delle aree critiche 2.2.5 Identificazione degli eventi pericolosi 2.2.6 Stima della credibilità degli eventi pericolosi 2.2.7 Stima delle conseguenze degli eventi pericolosi 2.2.8 Misure di prevenzione e mitigazione adottate dal fabbricante 2.2.9 Ispezione e verifiche di impianto
PARTE TERZA 3.2 Principali riferimenti legislativi
PARTE PRIMA ATTIVITA’A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE: ITER LEGISLATIVO 1.1 INTRODUZIONE: COS’E’ IL RISCHIO Top La definizione ed il calcolo del rischio hanno subito profonde modifiche nel corso dei secoli. Fino all’avvento della rivoluzione industriale i rischi per l’uomo e l’ambiente sono stati imputati a quattro cause principali: 1) naturali : terremoti, inondazioni, fulmini, ecc. 2) individuali : malattie, cadute, ferimenti, ecc. 3) collettivi : guerre, carestie, pestilenze, ecc. 4) tecnologici : crolli di dighe, ponti,case,ecc. Tenuto conto della limitatezza delle conoscenze scientifiche di allora, i rischi collegati alle attività tecnologiche erano stati sufficientemente classificati e contro di essi erano state studiate misure di prevenzione semplici ma anche efficaci (basti pensare a quanti ponti, dighe, monumenti hanno resistito per secoli). Con l’avvento dell’era industriale, le attività tecnologiche si dilatano in qualità e in quantità, comportando l’aumento dei risultati positivi, ma anche dei rischi collegati. Determinare la tenuta di un ponte è molto diverso e più semplice che garantire il continuo e perfetto funzionamento e l’assenza di anomalie in un impianto chimico integrato o complesso, ove avvengono reazioni tra più sostanze e/o in diverse condizioni chimico-fisiche. In questi casi basta anche il semplice malfunzionamento di uno solo dei molteplici elementi tecnico-impiantistici (valvola, pompa, raffreddamento, energia, ecc.) per modificare i risultati di processo e produrre conseguenze negative anziché quelle attese. In termini di ipotesi teorica il rischio è oggi definibile quale funzione matematica dovuta alla probabilità che avvenga un certo avvenimento e che esso comporti conseguenze negative, così espresso: R=f(P,M) ove: R= rischio P= probabilità M=magnitudo delle conseguenze La probabilità ‘P’ è poi espressa in numeri di volte che può verificarsi durante l’arco temporale di un anno; mentre la magnitudo M può essere espressa in numero di morti, feriti o danni economici. Nella sua accezione più semplice il rischio dato dal prodotto probabilità per conseguenze, ove la funzione f tiene conto anche di un fattore k che rappresenta la sensibilità delle popolazioni ed i danni economici indiretti. L’analisi del rischio è dunque un processo logico, che comporta l’identificazione di tutti i possibili eventi anomali dell’attività, la stima della probabilità che accadano e la valutazione dell’estensione e/o della gravità delle conseguenze. Il rischio può essere ridotto intervenendo su uno o più fattori (P,M,K), aumentando, migliorando e rendendo più efficaci le misure di sicurezza e di prevenzione tecniche, impiantistiche, procedurali ed organizzative (come sistemi di controllo, allarmi automatici, manutenzione accurata, addestramento personale, sostituzione di sostanze, modifica di cicli, ecc.), nonché riducendo le conseguenze negative in caso di accadimento (come lontananza luoghi abitati, vasche di contenimento, pronto intervento, piani di emergenza, bonifiche immediate, ecc.). La presenza continua di personale addestrato, la disponibilità di chiari manuali operativi, la regolare effettuazione delle ispezioni e degli interventi manutentivi, l’installazione di sistemi di controllo del processo, la strumentazione d’allarme e blocco, sono tutti provvedimenti volti a minimizzare la probabilità di occorrenza di episodi incidentali. I provvedimenti tecnici e procedurali volti a diminuire la probabilità che avvengano eventi indesiderati sono pertanto definiti “misure preventive”. In sintesi, tutte le installazioni industriali sono dotate di norme operative e dispositivi tecnologici volti a ridurre la gravità delle conseguenze in ipotesi di accadimento di un evento indesiderato; così come costituiscono strumenti per controllare e minimizzare le suddette conseguenze, la pianificazione per la gestione delle emergenze, i presidi antincendio, i bacini di contenimento degli spandimenti di liquidi, le torri di lavaggio delle emissioni gassose. I provvedimenti tecnici e procedurali volti a diminuire l’entità delle conseguenze avverse sono definiti “misure mitigative”. L’incidente occorso all’impianto l’ICMESA–GIVAUDAN, nel luglio 1976, presso il comune di Severo e la conseguente fuoriuscita di una nube tossica composta prevalentemente di diossine e di altre sostanze chimiche, rivelatesi altamente nocive sulla popolazione, offrì l’occasione per la verifica della congruità ed efficacia delle disposizioni vigenti in tema di prevenzione degli incidenti rilevanti negli impianti industriali a carattere chimico. In conseguenza di tale evento - provocato dallo scoppio del reattore di diclorofenolo - il Parlamento Europeo ha approvato in data 24 giugno1982 la Direttiva n. 501 relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi a determinate attività industriali, passata alla notorietà come la “Direttiva Seveso”.
Il recepimento della Direttiva Seveso da parte dell’ordinamento giuridico italiano avviene con notevole ritardo rispetto ai termini dalla stessa sanciti (gennaio 1984). Nelle more dell’adeguamento la direttiva Seveso è stata modificata con un’altra direttiva, la n. 216 del 19 marzo 1987, recepita contestualmente alla prima, con il D.P.R. 175/1988. Nel 1996 è stata poi approvata una nuova Direttiva, la n. 82, che ha aggiornato la Direttiva Seveso. "Per incidente rilevante si intende un avvenimento quale un’emissione, un incendio o un’esplosione di rilievo connessi ad uno sviluppo incontrollato di un’attività industriale che dia luogo ad un pericolo grave ed immediato per l’uomo, all’interno o all’esterno dello stabilimento, e per l’ambiente e che comporti l’uso di una o più sostanze pericolose” ai sensi art.1, co. 2, lettera c), del DPR 17.05.88 n.175. La legge in oggetto, detta norme generali per tutte le attività industriali che hanno in deposito o in lavorazione sostanze pericolose oltre determinate quantità ed indipendentemente dalle misure di prevenzione o di sicurezza adottate. Per sostanze pericolose s’intendono i composti chimici che provocano effetti avversi sull’organismo umano quando sono inalati, ingeriti o assorbiti per via cutanea (sostanze tossiche), che possono liberare grandi quantità di energia termica (sostanze infiammabili) o di energia dinamica (sostanze esplosive). L’inserimento di un’azienda nell’elenco di aziende classificate a rischio industriale rilevante non significa automaticamente la certezza dell’incidente ma indica che quell’impianto dovrà essere sottoposto a severi adempimenti e controlli, affinché attui tutte le misure necessarie di prevenzione e sicurezza. Le sostanze pericolose sono normalmente contenute all’interno di recipienti, tubazioni, apparecchiature di processo o altri involucri destinati ad impedirne la propagazione incontrollata all’esterno (sistemi di contenimento). Sono incidenti rilevanti gli eventi che comportano l’emissione incontrollata di materia e/o di energia all’esterno dei sistemi di contenimento. Appartengono alla prima tipologia eventi quali il rilascio di un gas tossico da un serbatoio, la perdita di un liquido pericoloso da una tubazione di processo, l’emissione in atmosfera di prodotti tossici da un camino. Appartengono alla seconda tipologia eventi quali l’incendio del liquido contenuto in un serbatoio (che provoca emissione di energia termica), lo scoppio di un recipiente a pressione in seguito ad un’esplosione (che provoca emissione di energia dinamica). In genere, negli impianti di processo, i possibili incidenti rilevanti sono gli incendi, le esplosioni e le emissioni di sostanze tossiche. Un’installazione industriale in cui sono presenti sostanze pericolose e ove sussistano condizioni operative tali da far ritenere possibile il rilascio all’esterno delle sostanze stesse (o dell’energia in esse disponibile), si configura come installazione a rischio di incidente rilevante. La pericolosità di un determinato evento dipende dalla gravità delle conseguenze e, dalla probabilità che l’evento ha di verificarsi durante la vita dell’installazione industriale. La disciplina antecedente alla Direttiva Seveso prevedeva che l’Ispettorato Regionale e Interregionale di prevenzione incendi, coadiuvato dal Comitato Tecnico Regionale, CTR, (composto allora dal C.N.VV.F., ISPESL e Ordine Provinciale degli Ingegneri), potesse sostituirsi ai C.N.VV.F., (dipendenti dal Ministero degli Interni), per rilasciare i CPI agli impianti di tecnologia avanzata che presentavano alto livello di rischio (DPR n. 577/82). Successivamente con i Decreti Ministeriali del 1983, ‘84 e ‘86 e i relativi allegati si stabilisce per quali attività, sostanze e, per quali quantitativi minimi di tali sostanze doveva formularsi un rapporto di sicurezza da sottoporre al controllo del CTR ai fini però ancora della sola prevenzione incendi. Il DPCM 31 Marzo 1989 emanato in attuazione dell’art.12 del DPR n. 175/88 definisce le linee guida relativamente alle modalità per redigere un rapporto di sicurezza per attività a rischio di incidente rilevante. Dal Gennaio 1994 al Settembre 1996 avrebbero dovuto essere emanati venti decreti legge, tutti decaduti per mancata conversione entro i termini di legge. Soltanto con la Legge 19 Maggio 1997 n. 137 è stata operata la sanatoria dei decreti legge decaduti, che ha così modificato la disciplina relativa agli organi del DPR 175, affidando le istruttorie ai comitati tecnici Regionali, CTR, ed infine ha introdotto la “Scheda di Informazione” quale strumento a disposizione delle popolazioni locali. In sostanza, la scheda informativa dà la possibilità a tutti i cittadini del territorio dove è installata un’azienda a rischio, di essere correttamente informati attraverso una lettura semplice e lineare dei fattori di rischio. In concreto, essi potranno e dovranno sapere tutto su tale aziende: in particolare, sulle misure di prevenzione adottate, i mezzi di segnalazione degli incidenti, i comportanti da adottare e da evitare, i presidi di pronto soccorso ecc. .
Tale decreto è applicabile a quegli insediamenti industriali menzionati nell’Allegato I dello stesso Decreto e quando essi detengano una o più sostanze pericolose in quantitativi superiori ai valori di soglia. Per l’individuazione delle attività industriali sottoposte alla “Seveso I”, il procedimento è semplice, invece per l’individuazione delle sostanze e dei preparati pericolosi, il procedimento è più articolato. Infatti, se si tratta di lavorazioni di cui all’Allegato I, è necessario riferirsi all’elenco in Allegato III composto da 180 voci. Per ciascuna sostanza inoltre, è specificato il relativo valore di soglia. Se la sostanza non è in Allegato III o non si tratta di attività comprese in Allegato I, il DPR n.175, prevede un altro elenco di sostanze nell’Allegato IV. In tal caso, è necessario far riferimento agli art. 3 e 6 del DPCM 31/03/89, che stabiliscono le soglie per tali categorie di sostanze. Le attività soggette sono suddivise in quattro classi, comunemente denominate A, B1, B2, C, cui competono diversi obblighi ed adempimenti:
In ogni caso, tutte le attività soggette, anche quelle rientranti nella classe C, sono comunque sottoposte al rispetto delle prescrizioni generali previste dall’art.3 del DPR n.175/88: - prendere tutte le misure necessarie per prevenire gli incidenti rilevanti e a limitarne le conseguenze; - dimostrare, ad ogni richiesta dell’Autorità Competente, di aver provveduto all’individuazione dei rischi di incidente rilevante e all’adozione delle appropriate misure di sicurezza; - dimostrare, ad ogni richiesta dell’Autorità Competente, di aver provveduto alla informazione, addestramento ed equipaggiamento, ai fini di sicurezza, dei dipendenti e di coloro che accedono all’azienda per motivi di lavoro.
1.4 DAL D. LGS 175/1988 AL D.LGS 334/9,( LA DIRETTIVA SEVESO BIS) Top L’emanazione del D.Lgs. n.334/99 avviene a seguito del recepimento della Direttiva 96/82/CE detta “Seveso Bis” relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti, connessi con determinate sostanze pericolose. Il decreto interessa oltre 10.000 aziende, private e pubbliche di vari settori merceologici. L’intervento in esame è un importante provvedimento che innova il precedente assetto normativo sul controllo dei rischi di incidente rilevante, costituito dalle diverse discipline che si sono succedute negli ultimi anni. In particolare, dal DPR n° 175/88 e dal D.P.C.M. 31 marzo 1989, fino al D.M. 1 febbraio 1996 e alla Legge 137/97, per arrivare al D.M. 16 marzo 1998. Il D.Lgs. 334/99: -Introduce novità assolute (come il Sistema di Gestione della Sicurezza, Il controllo dell'urbanizzazione e la partecipazione della popolazione al processo decisionale); -Definisce modifiche parziali come il campo di applicazione o le diverse competenze all'interno dei poteri di indirizzo, vigilanza e controllo della P.A.; -Conferma molti aspetti contenuti nella precedente normativa italiana che erano più avanzati, a volte, della stessa normativa europea; -Introduce i diritti di informazione dei lavoratori e dei cittadini. L'approvazione di questo nuovo quadro normativo ha registrato un confronto a volte anche aspro, ma sempre di alto livello propositivo e qualitativo, tra le diverse posizioni di merito assunte dalle parti sociali, ambientali ed imprenditoriali. In particolare, si è discusso riguardo:
1.5 SINTESI DELLE PRINCIPALI NOVITA’ RISPETTO AL D.LGS 175/1988 Top Si modificano molte definizioni (art.3), tra cui: Incidente rilevante: rientrano in tale definizione anche:
Stabilimento: la nuova normativa si estende anche alle aziende di tutti i settori merceologici, siano esse private o pubbliche (agricolo, ospedali, ecc…) se superano le quantità di sostanze pericolose (soglie definite nell'Allegato I del decreto) a differenza del DPR 175/88 che riguardava solo aziende o depositi industriali; Il fabbricante diventa il gestore: si determina una modifica non solo lessicale, ma sostanziale in quanto il gestore è la persona fisica o giuridica che gestisce o detiene lo stabilimento e/o l’azienda. Sono in parte modificati elenchi e categorie delle sostanze pericolose:
Si modifica in parte il sistema di calcolo delle quantità soglia: i comburenti non si sommano più ai tossici ed agli esplosivi; il campo di applicazione varia significativamente: vi possono rientrare, diversamente dal DPR 175/88, tutte le aziende pubbliche o private di qualsiasi settore merceologico anche non industriale. L’applicabilità della disciplina del DPR n.175/88 veniva infatti subordinata alla duplice condizione per cui lo stabilimento producesse, trasformasse o trattasse sostanze chimiche utilizzando i procedimenti di cui all’Allegato A, in secondo luogo, che fossero presenti le sostanze pericolose nei quantitativi sanciti dall’Allegato B e I. La “Seveso Bis” si applica anche se esistono le attività elencate nell’allegato A e non i quantitativi di certe sostanze e viceversa. Così facendo è più estensiva rispetto alla “Seveso I” comprendendo attività prima escluse e sostituendo la dichiarazione prima prevista per le attività a rischio minore con la notifica; gli adempimenti si modificano in parte o cambiano di significato; viene introdotto un "sistema di gestione della sicurezza (SGS) (art. 7); l'obbligo dei PEI, Piani di Emergenza Interni (art. 11), che devono essere predisposti previa consultazione del personale che lavora nello stabilimento; effetti domino e aree ad alta concentrazione di stabilimenti (artt. 12 e 13) con nuovi obblighi per i gestori; controllo dell'urbanizzazione (art. 14) in attesa di un nuovo decreto con i requisiti minimi di sicurezza di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione e utilizzazione dei suoli e necessità di mantenere opportune distanze di sicurezza tra stabilimenti e zone residenziali; profonde revisioni subiscono le competenze delle PA. Si assiste infatti al decentramento delle competenze dallo Stato alle Regioni previa formazione però dell’ARPA. Ciò limitatamente all’attività di coordinamento con il CTR per le istruttorie. Lo Stato infatti, attraverso la figura del Prefetto con i PEE e il C.N.VV.F. mantiene ancora la funzione di gestire l’emergenza; maggiori diritti di informazione sulle misure di sicurezza (art. 22) con la possibilità di accedere ai rapporti di sicurezza delle aziende di classe A; entra in vigore la consultazione alla popolazione (art. 23) nei casi di nuovi insediamenti civili in prossimità di stabilimenti a rischio di incidente rilevante; obbligo di verifiche ispettive almeno annuali per le aziende in Classe A (art. 25) al fine di accertare l'adeguatezza della politica di prevenzione e dei relativi sistemi di gestione della sicurezza; rimane in vigore il DPCM 31 marzo 1989 , norme transitorie, fino all'entrata in vigore di un nuovo decreto; l'allegato I riporta soglie e criteri per le classi A1 e A2; l'allegato III rappresenta una novità assoluta rispetto al DPR 175/88 e riporta i criteri per il Sistema di Gestione della Sicurezza, che dovranno essere ulteriormente specificati da apposite linee guida da emanarsi con Decreto Ministeriale; l'allegato IV riporta dati ed informazioni che devono figurare nei Piani di Emergenza sia interni che esterni l'allegato V innova la scheda di informazione per i cittadini ed i lavoratori, già prevista nella legge 137/97; l'allegato VII stabilisce la possibilità di limitare le informazioni contenute nel rapporto di sicurezza in presenza di almeno uno tra 4 criteri. Viene introdotto il Comitato Tecnico Regionale o Interregionale Integrato composto da:
Semplificazione delle procedure. Secondo uno dei vari Decreti attuativi del “Seveso II”, in fase di emanazione, per le attività a basso rischio di incidente rilevante, la procedura sia per il rilascio del CPI che ai sensi del D.Lgs. n.334/99 la effettua il C.N.VV.F. Ovviamente, ai sensi del D.M. n.577/82 se la procedura è complessa l’esame viene trasferito all’Ispettorato. Inoltre, secondo una Circolare del M.I., durante l’istruttoria sul rapporto di sicurezza, al CTR viene data anche competenza di concedere deroghe in materia di prevenzione incendi così come stabilito dal DPR n.37/98. I punti deboli delle “Seveso bis” sono essenzialmente:
1.6 GLI ADEMPIMENTI PREVISTI DAL D.LGS 334/99 A CARICO DEL GESTORE Top
1.7.1 NUOVI STABILIMENTI TopIn caso di nuovi stabilimenti che rientrino nell’obbligo di redazione del rapporto di sicurezza, si deve ottenere, prima dell’inizio della costruzione, il nulla osta di fattibilità (NOF); a tal fine si deve presentare al CTR un rapporto di sicurezza preliminare. Il rilascio del NOF deve avvenire entro 4 mesi dal ricevimento del rapporto. Tale termine può essere sospeso per l’acquisizione di informazioni supplementari, ma per soli 2 mesi. Senza il NOF non si può ottenere la concessione edilizia. Il rapporto di sicurezza definitivo deve essere presentato al CTR prima dell’inizio dell’attività. Se il CTR non dà risposta entro 4 mesi, il gestore può sempre presentare al CTR una perizia giurata che attesti: la veridicità e la completezza delle informazioni; la conformità delle misure di sicurezza previste alle prescrizioni generali stabilite da specifico decreto, in corso di emanazione. Se dopo 2 mesi non vi è risposta o richiesta di integrazioni, si può dare inizio all’attività.
1.7.2 MODIFICHE A STABILIMENTI GIA’ ESISTENTI TopSi è già detto che le modifiche possono costituire un aggravio al preesistente livello di rischio e la loro individuazione è anch’essa rimandata all’emanazione di un futuro decreto. Se ciò accade il gestore deve riesaminare la propria politica di prevenzione di incidenti rilevanti, i sistemi di gestione, il rapporto di sicurezza e, prima di dare corso alle modifiche, deve redigere sia il NOF che il rapporto di sicurezza seguendo la stessa procedura prevista per i nuovi insediamenti. Il gestore deve inoltre comunicare la modifica al Sindaco che può sempre revocare il rilascio della concessione per motivi di compatibilità ambientale sulla quale deve sempre pronunciarsi il CTR. Questa è sicuramente garantita se il gestore acquista una congrua fascia di rispetto attorno allo stabilimento. In futuro comunque sarà emanato un decreto interministeriale che stabilirà i parametri di sicurezza equivalente come per le deroghe. 1.7.3 EFFETTO DOMINO TopIl Ministero dell’Ambiente, sentiti la regione interessata e il CTR, sulla base delle notizie ricevute dai vari gestori: Individua gli stabilimenti per i quali la probabilità o le conseguenze di un incidente rilevante possono essere maggiori a causa del luogo, della vicinanza degli stabilimenti stessi e dell’inventario di sostanze pericolose presenti; Accerta che tra i gestori avvenga lo scambio delle necessarie informazioni per consentire di riesaminare i rispettivi SGS, i rapporti di sicurezza, i piani di emergenza interni e la diffusione delle informazioni alla popolazione. I gestori devono trasmettere al Prefetto e alla Provincia entro 4 mesi dall’individuazione del possibile effetto domino le informazioni necessarie per la predisposizione del PEE.
Come per l’effetto domino, con in più l’obbligo per i gestori degli stabilimenti interessati di predisporre, anche mediante consorzio, uno studio di sicurezza integrato dell’area. 1.7.5 ACCADIMENTO DI INCIDENTE RILEVANTE TopIl gestore deve: Adottare le misure previste dal PEI; Informare il Prefetto, sindaco, Comando dei VV.F., Presidente della Giunta regionale, Presidente dell’Amministrazione Provinciale, comunicando: - le circostanze dell’incidente; - le sostanze pericolose presenti; - dati disponibili per la valutazione delle conseguenze; - misura di emergenza adottate; - informazioni su misure previste per limitare le conseguenze a breve e lungo termine.
1.7.6 DM 19 MARZO 2001: PROCEDURE DI PREVENZIONE INCENDI RELATIVE AD ATIVITA’ A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE TopStabilisce le procedure semplificate di prevenzione incendi per le attività soggette alla presentazione del rapporto di sicurezza e contemporaneamente soggette ai controlli di prevenzione incendi. Il nulla osta di fattibilità ed il parere tecnico conclusivo rilasciati dal CTR comprendono ai fini della prevenzione incendi il nulla osta di fattibilità e il parere sul progetto particolareggiato previsti dal decreto del Ministero dell’Interno 2 agosto 1984 e successive modifiche ed integrazioni. La documentazione presentata dal gestore in relazione al rapporto di sicurezza preliminare e definitivo specificatamente integrata ai fini della sicurezza antincendi viene presentata anche in relazione alle procedure per il rilascio del certificato di prevenzione incendi. Il certificato di prevenzione incendi viene rilasciato a conclusione del procedimento di valutazione del rapporto di sicurezza. Entro 45 gg. dall’istanza di rilascio viene effettuato il sopralluogo da parte di apposita commissione ed entro 15 gg. dal positivo accertamento il C.N.VV.F. rilascia il certificato di prevenzione incendi.
PARTE SECONDA MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DI ANALISI DEI RISCHI PREVISTA PER LE INSTALLAZIONI SOGGETTE ALL’OBBLIGO DI DICHIARAZIONE O DI NOTIFICA 2.1 PREMESSA Top Lo studio richiesto per le installazioni a rischio di incidente rilevante deve consentire al fabbricante (inteso come gestore dell’impianto) di conoscere e valutare i rischi e di predisporre gli strumenti per gestirli. Al tempo stesso tale studio, deve essere tale da facilitare la valutazione da parte dell’Autorità di Controllo. Tale valutazione viene effettuata sia sulla base della documentazione fornita dal fabbricante, che mediante ispezioni e verifiche in impianto. L’esame della documentazione fornita dal fabbricante ha lo scopo di:
Per verifica della completezza formale si intende il controllo che tutti i punti richiesti dalla normativa siano stati oggetti di esplicita trattazione nella documentazione fornita dal fabbricante. Per verifica della adeguatezza dei contenuti si intende il controllo che il contenuto della trattazione dei singoli punti contenga informazioni esaustive e credibili e che gli strumenti utilizzati dal fabbricante per approntare lo studio di sicurezza siano adeguati allo scopo.
2.2 CONTENUTI DELLO STUDIO DI SICUREZZA Top Sono raggruppabili nelle seguenti categorie: 2.2.1 DATI IDENTIFICATIVI DELL’INSTALLAZIONE Top Si tratta di fornire in modo chiaro la Ragione sociale dell’impresa, la collocazione fisica della installazione oggetto della Dichiarazione/Notifica, la classificazione secondo le categorie ISTAT, i nomi dei responsabili dello stabilimento, del responsabile della progettazione e dell’estensore del rapporto di Sicurezza e l’organigramma del personale. 2.2.2 DESCRIZIONE DELL’INSTALLAZIONE Top Una chiara descrizione del processo produttivo deve essere corredata dai seguenti elaborati tecnici: - La Planimetria dell’Installazione o layout è quasi sempre disponibile presso gli archivi del fabbricante oppure è presente in allegato alla Concessione Edilizia Comunale o al Certificato di Agibilità dell’Impianto; difficilmente è però aggiornata alla situazione reale dell’installazione. - La planimetria dell’area circostante l’installazione, con l’indicazione del sistema viario, dei centri abitati, della localizzazione di siti vulnerabili quali scuole, ospedali, ha la funzione di mostrare come l’installazione si inserisce nel contesto territoriale. Poiché difficilmente tale planimetria è reperibile presso gli archivi del fabbricante, le tavole del PRG possono rivelarsi un idoneo documento base a tale scopo. - La descrizione dello scenario ambientale meteorologico e delle perturbazioni geofisiche, meteomarine e cerauniche. Ciò allo scopo di consentire una stima degli effetti avversi nel caso si verifichi un incidente (p.e. l’estensione dell’area dipende dalla direzione e velocità del vento, etc.) o per identificare particolari situazioni ambientali che potrebbero dar luogo ad incidenti (esondazioni, terremoti, fulminazioni, etc.). Tale documentazione può essere ottenuta consultando la letteratura tecnica ed in particolare le statistiche meteorologiche dell’ENEL, dei CRIA della Regione interessata, le statistiche delle perturbazioni geofisiche, sui fenomeni ceraunici (fulmini) disponibili presso il CNR, le statistiche sulle esondazioni prodotte dal Magistrato delle Acque e dal Genio Civile. Infine non è da sottovalutare il contributo alla conoscenza del sito ottenibile dalla ritentiva storica dei residenti. - La descrizione dettagliata dell’installazione nei suoi aspetti impiantistici e processuali. Tale descrizione a sua volta deve comprendere:
- Il bilancio di materia ed energia. E’ il documento tecnico della contabilità dei materiali in ingresso e in uscita e dell’energia consumata e prodotta nella installazione. E’ disponibile presso gli Uffici Tecnici dell’Installazione in quanto elaborato fondamentale per valutare l’economicità del processo produttivo
2.2.3 DATI RELATIVI ALLE SOSTANZE PERICOLOSE PRESENTI NELL’INSTALLAZIONE Top Il rischio di incidente rilevante è strettamente connesso alla natura e quantità di sostanze pericolose presenti nell’installazione. Le sostanze pericolose sono caratterizzate da alcune proprietà quali: - Infiammabilita’: attitudine intrinseca a liberare vapori che miscelati con l’ossigeno, possono essere innescati e dar luogo ad incendi. La sostanza è tanto più pericolosa quanto più bassa è la temperatura di ebollizione e maggiore è il campo d’infiammabilità compreso tra il p.to inferiore e il p.to superiore d’infiammabilità. (p.e. benzina, propano, gasolio, etanolo etc.) - esplodibilita’: attitudine della sostanza a decomporsi in modo esplosivo o a formare miscele con l’aria che, in caso di innesco, sviluppano energia cinetica oltre che termica (p.e. polveri organiche, ossido di etilene etc.) - tossicita’: capacità della sostanza di provocare danni all’organismo umano quando viene inalata, ingerita o per contatto cutaneo; una sostanza è tanto più pericolosa, quanto minori sono le concentrazioni capaci di provocare effetti tossici (p.e. cloro, ammoniaca, pesticidi etc.) - instabilita’: attitudine della sostanza a polimerizzare o a decomporsi con sviluppo di energia termica e dinamica (p.e. perossidi, acetaldeide etc.) - reattivita’: attitudine della sostanza a reagire violentemente con altre sostanze con sviluppo di energia termica o dinamica (p.e. ossigeno, idrogeno, cloro etc.) - corrosivita’: attitudine della sostanza a reagire con altre sostanze (p.e. acido solforico, acido cloridrico etc.) La documentazione deve elencare tutte le sostanze pericolose presenti stabilmente o transitoriamente nella installazione, specificando per ciascuna il relativo quantitativo medio e massimo stagionale ed annuale e le condizioni di processo o deposito. Per ciascuna sostanza pericolosa deve essere fornita la relativa Scheda di Sicurezza. Le sostanze devono essere identificate: - con la formula chimica bruta; - la formula di struttura - ed il numero CAS. Non è ammessa l’identificazione con il solo nome commerciale. Il fabbricante deve citare espressamente la fonte da cui sono state attinte le informazioni: - per le sostanze infiammabili devono essere indicati, in quanto strettamente connessi alla pericolosità di tali sostanze, il limite inferiore e superiore di infiammabilità, la temperatura di infiammabilità o “flash point”, la temperatura di autoaccensione, l’energia minima d’innesco, la tensione di vapore a temperatura ambiente; - per le sostanze tossiche invece, si usano parametri come i TLV, concentrazione che può essere inalata per lunghi periodi senza seri effetti avversi per la salute umana; l’LC50, concentrazione che, quando inalata per una durata specifica, provoca il decesso del 50% dei soggetti esposti; l’IDLH, concentrazione che pone a rischio la salute e la sopravvivenza dei soggetti esposti dopo una breve inalazione.
2.2.4 IDENTIFICAZIONE E ANALISI PRELIMINARE DELLE AREE CRITICHE Top Per poter dare un primo giudizio sui rischi relativi ad una installazione industriale, è necessario identificare le aree a maggior rischio ed analizzarle in conformità a quanto prescritto dal DPCM 31.03.89. Allo scopo di individuare tali aree, il fabbricante deve avere preliminarmente suddiviso l’impianto in unità logiche chiaramente identificabili per funzionalità ed ubicazione; ciascuna unità logica deve comprendere un solo processo unitario ed essere associabile ad una determinata sostanza pericolosa. Per ciascuna di queste aree, verrà determinato un indice di rischio di incidente rilevante; le aree critiche saranno quelle caratterizzate dal valore di indice più elevato. A tale scopo, viene impiegato un metodo indicizzato che è il metodo ISPESL riportato nell’Allegato II del D.P.C.M. 31/03/89. Tale metodo si basa sui seguenti passaggi logici: - suddivisione dell’azienda in impianti e dell’impianto in unità logiche a cui applicare il metodo. Le unità sono identificabili da condizioni omogenee di temperatura/pressione e da una sostanza principale come fonte di rischio; - scelta della sostanza predominante. E’ quel composto o miscela presente nell’unità che, per le sue proprietà intrinseche e per le quantità presenti, fornisce il maggior potenziale in caso di rilascio di energia a seguito di combustione, esplosione o reazione esotermica; - calcolo del fattore sostanza B (proprietà relative all’infiammabilità). Il fattore B misura l’energia potenziale della sostanza predominante e si determina a partire da due proprietà: l’infiammabilità (Nf) e la reattività (Nr); - calcolo dell’indice intrinseco di tossicità IIT (proprietà relative alla tossicità). Tale indice viene calcolato utilizzando la seguente espressione:
dove: PCF’ :proprietà chimico-fisiche; PT :proprietà tossicologiche; PET :proprietà ecotossicologiche; PED :pluralità di esposizione; DA :diffusione ambientale; PE :persistenza; BC :bioconcentrazione. - calcolo dei fattori di penalità. I fattori presi in considerazione sono: Fattore M: rischi specifici delle sostanze; Fattore P: rischi generali di processo; Fattore S: rischi particolari di processo; Fattore Q: rischi dovuti alle quantità; Fattore L: rischi dovuti al lay-out; Fattore s: rischi per la salute. - calcolo dei fattori compensativi. Questi vengono considerati per tenere conto delle protezioni attive e passive presenti nell’impianto che riducono l’indice di rischio dell’unità. Si considerano: K1: fattore di compensazione per il contenimento; K2: fattore di compensazione per il controllo di processo; K3: fattore di compensazione per l’atteggiamento per la sicurezza; K4: fattore di compensazione per le protezioni antincendio; K5: fattore di compensazione per l’isolamento e l’eliminazione delle sostanze; K6: fattore di compensazione per le operazioni antincendio - calcolo degli indici di rischio. Gli indici calcolati dal metodo ISPESL sono: CARICO D’INCENDIO:
FATTORE DI INCENDIO ED ESPLOSIONE: D=(1+M/100)´(1+P/100)´[1+(S+Q+L+s)/100] FATTORE DI ESPLOSIVITA’ CONFINATA: C= 1+ (M+P+S)/100 FATTORE DI ESPLOSIVITA’ ALL’APERTO: A=B´ (1+m/100)´(1+p)´(Q´H´C/1000)´[(T+273)/300] INDICE DI RISCHIO GLOBALE: G=D´[1+(0.2´C´(A´F)0.5)] INDICE DI TOSSICITA’: T=max (IIT´w) dove: K: quantità sostanza (o miscela) chiave; N: superficie dell’unità; m: caratteristiche di miscelazione e dispersione; p: fattore alta pressione; H: altezza unità; T: temperatura d’esercizio; w: coefficiente moltiplicativo funzione della quantità di sostanza. - calcolo degli indici di rischio compensati. Questi sono: FATTORE DI ESPLOSIVITA’ CONFINATA COMPENSATO: C’=C´K2´K3 FATTORE DI ESPLOSIVITA’ ALL’APERTO COMPENSATO: A’=A´K1´K2´K3´K5 INDICE DI RISCHIO GLOBALE COMPENSATO: G’=G´K1´K2´K3´K4´K5´K6 INDICE DI TOSSICITA’ COMPENSATO: T’=T´K2´K3 - individuazione delle categorie di pericolosità.
2.2.5 IDENTIFICAZIONE DEGLI EVENTI PERICOLOSI Top L’identificazione degli eventi pericolosi che possono verificarsi nell’installazione si basa su due tecniche complementari: - l’analisi incidentale storica - lo studio dell’impianto con metodi predittivi. 2.2.5.1 L’ANALISI INCINDENTALE STORICA Top Questa tecnica si propone di esaminare l’esperienza incidentale, che la storia dell’industria rende disponibile, per produrre liste di incidenti già verificatisi per ogni tipologia impiantistica. L’esperienza incidentale a cui fare riferimento può essere quella specifica
Il concetto base a supporto di questa tecnica è del tipo: “Un incidente di questo tipo è già successo nel mio impianto, o in un impianto analogo in Italia, o in un impianto analogo nel mondo e devo tenerne debito conto nel valutare la sicurezza del mio impianto”. Tenerne debito conto significa porsi i seguenti problemi:
Il fabbricante in generale conosce i problemi occorsi nel passato nel proprio impianto, di cui trova traccia nei propri archivi e nelle schede relative ad infortuni sul lavoro, malattie professionali, interruzioni della produzione, richieste di intervento ai Vigili del Fuoco, etc. Il fabbricante, inoltre, fa generalmente parte di associazioni di categoria a cui può richiedere documentazione sugli incidenti noti. Il fabbricante conosce in generale gli altri produttori nazionali operanti nello stesso settore (i concorrenti) a cui può richiedere assistenza in un’ottica di collaborazione per una migliore tutela dell’integrità degli impianti e della sicurezza dei lavoratori e della popolazione. Ad integrazione di queste informazioni, il fabbricante può rivolgersi a Banche di Dati sugli incidenti, disponibili in Italia ed all’estero; inoltre dati aggiuntivi sono ottenibili dagli archivi dei Vigili del Fuoco e dell’ISPESL e chiedendo la collaborazione delle associazioni sindacali dei lavoratori. E’ chiaro che questa tecnica è valida solo per prevenire tipologie incidentali già verificatesi e deve essere integrata da tecniche predittive per identificare tipologie incidentali “nuove” (cioè non ancora verificatesi o verificatesi ma non conosciute). Questo è necessario per due motivi:
cioè se l’evento è probabile la stima di accadimento si avvicina alla probabilità effettiva; se l’evento è poco probabile invece, l’uomo tende a sovrastimare la probabilità di accadimento e fin qui poco male; il problema sorge invece quando l’evento è raro. Infatti, in tal caso, l’uomo tende a sottostimare la probabilità di accadimento degli eventi.
In conseguenza di quanto esposto sopra, ad integrazione dell’analisi incidentale storica, occorre utilizzare metodi predittivi per identificare possibili rischi aggiuntivi. I metodi predittivi normalmente utilizzati per identificare i rischi connessi con anomalie impiantistiche si basano sulle tecniche
Queste tecniche si basano sul seguente schema logico:
Altri metodi predittivi sono utilizzati per identificare i rischi connessi con anomalie nella chimica delle reazioni, tra cui il più noto è CHETAH (Chemical Thermodynamic and Hazard Evaluation) 2.2.5.2.1 HAZOP Top La tecnica predittiva HAZOP (Studio dei rischi e dell’operatività dell’impianto) schematizza l’impianto come una serie di recipienti e linee di collegamento, a ciascuna delle quali sono associabili i parametri nominali di processo. Ogni elemento in cui è scomposto l’impianto è chiamato “nodo”. Per parametri di processo si intendono i descrittori chimico-fisici relativi a ciascuna linea e recipiente, quali: Composizione del fluido Pressione Temperatura Portata Livello Viscosità Etc. Ciascun parametro di processo ha un valore “nominale” (o, meglio, un campo di valori nominali), cioè un valore ideale previsto in fase di progetto. Così, ad esempio, una tubazione di immissione del prodotto K in un serbatoio è caratterizzata dalla portata nominale di X (m3/h), dalla pressione nominale di Y (Pascal), dalla temperatura nominale di Z (°K), e così via. Fino a che i parametri di processo non si discostano significativamente dai relativi valori nominali di progetto, è lecito supporre che l’impianto operi correttamente e non configuri situazioni di rischio. Quando uno o più parametri di processo si discostano dai valori nominali, esiste il potenziale per conseguenze negative, che possono configurarsi come interruzione della produzione, produzione fuori specifica o possibili incidenti. Ad esempio se nella tubazione precedente fluisce il prodotto K’ (in luogo del prodotto K), oppure se la portata assume il valore X’ (maggiore o minore del valore nominale X),oppure se la pressione assume il valore Y’ (diverso da Y), in tutti questi casi l’impianto è in un assetto anomalo potenzialmente foriero di incidenti. Il metodo HAZOP presuppone che gli incidenti siano conseguenza dello scostamento di uno o più parametri di processo dai valori nominali. Il metodo HAZOP aiuta l’utente ad identificare gli scostamenti mediante l’uso di una lista di “parole guida” (“più di”, “meno di”, “no/nessuno”, “inverso”, “invece di”, “parte di”, “in aggiunta a”). Il metodo HAZOP implica che l’analista di rischio:
L’applicazione della tecnica deve essere: - esaustiva tutti i nodi che compongono l’impianto devono essere valutati, considerando tutti i parametri e applicando tutte le parole guida; - sistematica i risultati raggiunti devono essere registrati sulla modulistica adottata; - incisiva (le eventuali modifiche impiantistiche e procedurali che risultano necessarie devono essere effettivamente realizzate). Ne consegue che la tecnica HAZOP richiede non trascurabili risorse umane e di tempo ed è di difficile applicazione ad una intera installazione industriale. La tecnica HAZOP, considerando tutti gli scostamenti dell’impianto dalle condizioni operative ideali, oltre che le situazioni di rischio identifica anche le situazioni che possono comportare fermate dell’impianto o prodotto fuori specifica; il ritorno economico per il fabbricante che sottopone la propria installazione ad un’analisi con la tecnica HAZOP può essere rilevante.
2.2.5.2.2 FMEA Top Le tecniche FMEA (Failure Mode and Effect Analysis) ed FMECA (Failure Mode Effect and Criticality Analysis) considerano i vari componenti dell’impianto, i loro modi di avaria, gli effetti dei vari modi di avaria e la loro importanza ai fini della sicurezza. La tecnica FMEA (ed FMECA) suddivide l’impianto nei suoi componenti elementari, considera ciascun componente ed ipotizza i vari modi di avaria dello stesso; per ciascun modo di avaria si valutano gli effetti e la criticità degli stessi. Per criticità si intende l’importanza delle conseguenze del modo di avaria per la salute dell’uomo, per l’integrità dell’impianto e per la sua capacità produttiva. Si applica generalmente la seguente definizione dei livelli di criticità: Livello 1 - Nessuna conseguenza apprezzabile Livello 2 - Lievi alterazioni nel processo produttivo, nessun rischio per il personale Livello 3 - Significativa alterazione nel processo produttivo, rischio per il personale, necessità di blocco per la produzione Livello 4 - Grave rischio per il personale e per l’impianto, situazione di emergenza La tecnica FMEA è concettualmente analoga alla tecnica HAZOP; entrambe suddividono il processo produttivo in componenti elementari, ipotizzano scostamenti dalle condizioni nominali di operazione e ne valutano le conseguenze. La tecnica HAZOP focalizza l’attenzione sui parametri di processo, ipotizza uno scostamento, identifica le cause e valuta le conseguenze. La tecnica FMEA focalizza l’attenzione sui componenti dell’impianto, ipotizza un’avaria e valuta le conseguenze dell’avaria. Generalmente si preferisce la tecnica HAZOP per gli impianti di processo e la tecnica FMEA per i sistemi meccanici ed elettrici.
La tecnica WHAT IF è meno rigorosamente strutturata delle due precedenti tecniche, pur perseguendo gli stessi obbiettivi. Il concetto dell’analisi WHAT IF è quello di condurre una valutazione sistematica del processo produttivo, ponendosi domande che iniziano con le parole “COSA SUCCEDE SE……?”. Ad esempio, laddove si esamini un reattore chimico, una domanda ovvia sarebbe: “COSA SUCCEDE SE viene a mancare l’acqua di raffreddamento?”. La risposta alla domanda deve riguardare le conseguenze dell’evento, deve indicarne le possibili cause ed i provvedimenti presi o da prendere per ridurre la probabilità dell’anomalia e minimizzarne le conseguenze. Per aiutare l’analista di rischio a non dimenticare aspetti importanti del processo produttivo, si fa generalmente uso di LISTE DI CONTROLLO, cioè di elenchi di domande relative a disfunzioni tipiche dell’impianto in esame. L’identificazione delle situazioni anomale con le tecniche HAZOP, FMEA, WHAT IF non è solo un obbligo di legge a cui il fabbricante deve ottemperare,ma soprattutto un momento essenziale per la conoscenza e la gestione in sicurezza degli impianti nell’interesse generale dell’imprenditore, dei lavoratori e della popolazione; il ritorno economico, in termini di diminuzione delle fermate e del prodotto fuori specifica, è di per sé sufficiente a giustificarne l’applicazione alla maggioranza delle installazioni industriali. Fig.1: Identificazione degli eventi pericolosi
2.2.5.2.4 CHETAH Top E’ un metodo che viene impiegato per prevedere la pericolosità delle reazioni chimiche esotermiche. Questo utilizza i dati delle entalpie di decomposizione e di combustione, il bilancio di ossigeno, il peso molecolare, il numero di atomi nelle molecole, per definire quattro criteri, denominati da C1 a C4, la cui interpretazione, consente di valutare il rischio potenziale di una reazione. 2.2.6 STIMA DELLA CREDIBILITA’ DEGLI EVENTI PERICOLOSI Top Con le tecniche di identificazione degli eventi pericolosi di cui sopra, si individuano determinate tipologie incidentali. Alcune di esse sono teoricamente possibili, ma la loro probabilità di verificarsi è del tutto remota, altre invece, non solo sono teoricamente possibili, ma la probabilità che si verifichino durante la vita dell’installazione può non essere trascurabile; si presenta quindi il problema di come identificare gli incidenti probabili da quelli possibili. La stima della credibilità può essere effettuata con giudizi qualitativi (semi-quantitativi) o con valutazioni rigorosamente quantitative. In entrambi i casi i criteri che hanno prodotto il giudizio di credibilità devono essere chiaramente specificati ed essere coerenti con quanto emerso sia dall’analisi incidentale storica che dall’uso dei metodi predittivi. I metodi semi-quantitativi sono quelli che si basano sull’esperienza, sulla concordanza di opinioni tra esperti. Un esempio di assegnazione di livelli di probabilità basato su valutazioni semi-quantitative è il seguente: Evento molto probabileEvento che è già successo nella vita precedente dell’installazione o che, comunque ci si aspetta possa verificarsi nel futuro. La probabilità che si verifichi durante la vita dell’impianto è superiore al 90%. Evento probabile Evento che, se si verificasse, non susciterebbe sorpresa; la probabilità che si verifichi durante la vita dell’impianto è compresa tra il 30% e il 90%; Evento poco probabile Evento che, se si verificasse, provocherebbe sorpresa; la probabilità che si verifichi durante la vita dell’impianto è inferiore al 30%; Evento improbabile Evento che non si è mai verificato, o si è verificato pochissime volte in installazioni similari; non ci si attende che possa verificarsi durante la vita dell’impianto (probabilità inferiore all’1%). Una tecnica integrativa per assegnare il livello di probabilità, è quella di valutare da quanti eventi elementari indipendenti dipende il verificarsi dell’incidente. E’ infatti ovvio che quanto maggiore è il numero di concomitanze necessarie, tanto minore è la probabilità di verificarsi. I metodi rigorosamente quantitativi sono quelli che mirano ad assegnare agli eventi incidentali un valore probabilistico espresso in termini numerici assoluti. Uno di questi metodi è “L’ALBERO DEI GUASTI”. E’ metodo deduttivo o “top down” basato su un albero logico che, partendo dall’evento incidentale (TOP EVENT) perviene attraverso un concatenamento più o meno articolato di eventi via via più semplici, agli eventi elementari (EVENTI BASE) di cui è già nota la probabilità, in quanto determinata attraverso data base. La probabilità dell’evento top sarà così ottenuta dal prodotto e/o somma di probabilità di eventi elementari a seconda del tipo di operatore logico gli eventi sono concatenati tra loro (AND o OR). Il tipico schema dell’ALBERO DEI GUASTI è il seguente:
In esso, l’accadimento dell’evento è rappresentato da un rettangolo; la pala rappresenta due o più eventi concatenati tra loro con la logica AND; la mezza luna capovolta, indica la concatenazione di due o più eventi con la logica OR; i cerchi rappresentano gli EVENTI BASE; con i rombi infine, si rappresentano gli eventi sui quali l’analista sceglie di non indagare per non complicare inutilmente l’analisi.
Gli eventi pericolosi che possono avere origine dalle installazioni industriali sono generalmente rilasci accidentali di materia ed energia. Gli incidenti tipici sono: incendi, che provocano intensi campi di radiazione termica nell’area circostante l’installazione. La documentazione prodotta, deve indicare le distanze massime in cui, nelle condizioni ambientali più sfavorevoli, la radiazione termica raggiunge valori tali da provocare ustioni alle persone esposte o valori tali da provocare l’estensione dell’incendio ad altri componenti di impianto o alle proprietà fuori dallo stabilimento; esplosioni, che provocano campi di pressione e proiezione di frammenti nell’area circostante l’installazione. Bisogna indicare le distanze massime in cui, nelle condizioni ambientali più sfavorevoli, gli impulsi di pressione sono sufficienti a provocare la rottura delle superfici vetrate, il collasso parziale o totale delle strutture o danni diretti all’integrità fisica dei soggetti esposti. rilasci di sostanze infiammabili, in ordine alle quali si descrivono le distanze massime in cui, nelle condizioni ambientali più sfavorevoli, le concentrazioni in aria della sostanza sono superiori al 50% della soglia inferiore di infiammabilità rilasci di sostanze tossiche, che provocano contaminazione grave dell’atmosfera nell’area circostante l’installazione. Bisogna fornire le distanze massime in cui, nelle condizioni ambientali più sfavorevoli, le concentrazioni in aria sono superiori alla soglia che provoca danni alla salute per breve esposizione o rischi diretti per la sopravvivenza dei soggetti esposti. Stimare le conseguenze degli eventi pericolosi significa quindi fornire l’estensione spazio-temporale dell’area degli effetti avversi, intesi come campi di radiazione termica, campi di pressione, concentrazioni in aria di sostanze tossiche. Poiché tale valutazione richiede in genere l’effettuazione di calcoli molto complessi, si adottano molto spesso modelli di calcolo con l’ausilio di strumenti informatici. 2.2.8 MISURE DI PREVENZIONE E MITIGAZIONE ADOTTATE DAL FABBRICANTE Top Il fabbricante deve fornire la descrizione delle misure prese per gestire in sicurezza l’impianto, per prevenire l’insorgere degli incidenti, per mitigarne le conseguenze. La documentazione deve specificare:
La documentazione deve essere corredata dalla descrizione e dai disegni relativi:
Le ispezioni e le verifiche in impianto hanno la finalità di controllare che la realtà impiantistica ed operativa descritta nella Dichiarazione/Notifica sia rispondente al vero. I controlli devono appurare che: 1) La natura ed i quantitativi delle sostanze pericolose in processo e lavorazione siano conformi a quanto riportato nella documentazione inoltrata dal fabbricante; 2) La disposizione delle apparecchiature e le distanze di separazione di sicurezza siano conformi a quanto dichiarato; 3) Il manuale operativo sia disponibile, aggiornato e conosciuto dal personale; 4) Il piano per la gestione delle emergenze sia disponibile, aggiornato e conosciuto dal personale; 5) I sistemi di prevenzione e mitigazione citati nelle schede per l’identificazione preliminare delle aree critiche siano individualmente esistenti ed efficienti; 6) La formazione ed informazione dei lavoratori sia conforme a quanto dichiarato 7) I sistemi di :
Tabella di correlazione tra i Requisiti della NORMA UNI 10616 e i Requisiti dell’allegato III al D.Lgs. 334/99.
PARTE TERZA 3.1 PRINCIPALI DEFINIZIONI Top
3.2 PRINCIPALI RIFERIMENTI LEGISLATIVI Top
[1] Dossier Ambiente. Manuale per la prevenzione la limitazione e la gestione del rischio industriale rilevante. Associazione Ambiente e lavoro. Giugno 1994. |